martedì 30 settembre 2008

Tour del Tour Real… domenica 28-09-08


Ritrovo alle 8.30 a Sampeyre da “baffo” per cappuccino e croissant…

Oggi la conta dei partecipanti si ferma a undici, un po’ per i “bubu” che non passano, un po’ per impegni vari, un po’ perché anche di domenica bisogna lavorare… mi viene però da pensare che alcuni come me hanno lottato fino alle stremo delle forze per uscire dalle coperte calde del lettone…

Sul piazzale di Chianale ci infiliamo gli scarponi, raccolti nei nostri pile per ripararci dai primi freddi… 

Attraversiamo il borgo di Chianale apprezzando il prezioso restauro delle case in stile montano, in testa Donatella, la nostra capogita di oggi… imbocchiamo il sentiero che passando tra i prati appena tagliati per l’unica fienagione dell’anno, sale verso la cascata del rio martinet alle spalle del borgo… meta invernale ambita per i ghiacciatori, si trasforma nella “Cascata ghiacciata del Martinet” da salire in stile piolet traction con piccozze e chiodi da ghiaccio.

Nel lariceto il sentiero sale ripido con molte “gucie”, la traccia stretta e nascosta in parte dall’erba passa vicino alla cascata e offre una bella visuale sulla stessa… si in travede una lieve traccia utilizzata dai “ice climbers” per arrivare all’attacco della parete ghiacciata…

In breve sbuchiamo sulla conca delle Traversette, passiamo vicino alla baita del pastore, breve sosta al laghetto… ormai pozza d’acqua usata dalle mucche per abbeverarsi…

Adriana ci fa notare in lontananza una baita in fare di ristrutturazione… carina, isolata, assolata… è di un francese originario di Chianale… vuole riportarla all’antico splendore di quando veniva usata da suo nonno. 

La traccia prosegue al centro della conca, passiamo e ripassiamo le recinzioni del pastore e proseguiamo verso la nostra meta…

Si intravede già la caserma militare nei pressi del colle… ancora lì a vegliare dall’alto la valle e il borgo di Chianale…

Bartolo guida la fila di camminatori quando ad un tratto viene preso di sorpresa da tre pernici che nascoste nell’erba nei pressi del sentiero prendono il volo… il battito delle loro ali ci fa andare il cuore in gola dallo spavento.

Breve pausa ai piedi della caserma… la nostra curiosità ci guida all’interno, un lungo corridoio, a sinistra le camere e in fondo i bagni… un breve pensiero ai militari e alle loro fatiche nel costruirla…

Riprendiamo il cammino e in breve arriviamo al colle… congratulazioni di rito a tutti per la salita… l’assenza di vento e il sole caldo sono ottimi per la sosta del pranzo…

Il panorama spazia sui laghi, sul profilo della catena a confine con la Francia, sul Re di pietra onnipresente e sul lago di Castello…

Mentre noi ci godiamo il sole, Bartolo scende sul versante verso il Lago Nero per tastare di persona le eventuali difficoltà della discesa… i dieci centimetri di neve caduta nei giorni scorsi nasconde le difficoltà della pietraia…

Alle due con estrema cautela scendiamo verso il Lago Nero… specchio d’acqua color smeraldo… i pesciolini nuotano verso la riva… forse incuriositi, forse affamati… in cerca di qualche briciola di pane…

Il sole caldo è una calamita… sarebbe bello potersi sdraiare sull’erba a contarcela un po’… ma dobbiamo scendere a valle… le ombre fredde dei profili montuosi alle nostre spalle ci inseguono…

Alle 16.30 siamo alle macchine… il sole è gia scomparso dietro al Tour Real e il freddo si fa di nuovo sentire…

La cioccolata calda fumante al bar ci ricarica…

Siamo già sulla strada del ritorno… il pensiero però è ancora lassù… sto già contando i minuti che mi dividono dal prossimo weekend…una splendida escursione nelle Gole del Verdon…

Beppe

giovedì 25 settembre 2008

“Take a look to the sky just before you die, is the last time you will”.

Questa lettera si intitola "pensieri di un sopavvissuto", non aggiungo nulla di più... a Voi i pensieri e le riflessioni.. buona lettura...


Quando si sfiora la morte si dovrebbe rivedere tutta la propria esistenza, il tempo si dovrebbe fermare e un’immensità di pensieri dovrebbero infiammare le sinapsi.

Tutto questo mi è stato negato.

L’istante in cui tutto si è verificato si è manifestato come tale: una velocità disarmante.

Pochi fotogrammi impressi a fuoco nella mente, semi dei miei futuri incubi.

Nessuna visione, nessuna luce abbagliante all’orizzonte, niente di trascendentale, solo la dura realtà: 40 metri verticali, la consapevolezza di non saper volare, ossa spappolate e sangue.

In quei pochi secondi prima dello schianto sono stato pervaso da una grande serenità, nessuna rabbia, nessuna paura, non ho pensato a niente e a nessuno. In quel attimo irripetibile avevo solo la consapevolezza che sarebbe tutto finito.

Poi tutto perde senso, solo il rumore assordante del mio respiro, la lenta presa di coscienza che qualcosa non va, un braccio in una posizione strana, immobile, l’incapacità di alzarsi in piedi , lo sguardo offuscato dal sangue, solo in un luogo solitario, sotto la pioggia, costretto a strisciare come un verme.
Fatico a capire se sia sogno o realtà, l’adrenalina e le endorfine mi negano ogni dolore, il cervello è incapace di pensare, steso a pancia in su non mi resta che aspettare, solo un pensiero:” resta sveglio”.

Poi Rudy davanti a me su un sasso a sventolare la sua giacca e a gridare verso un elicottero giallo che risale la valle.

Sono tutt’ora stupito dalla mancanza di emozioni in quei momenti, nessuna paura, nessuna felicità, per una volta uno dei miei più reconditi desideri era diventato realtà: nessun pensiero.

Solo un susseguirsi di immagini, il mio IO spettatore apatico del mio salvataggio.

Volti nuovi che si affannano per salvare uno sconosciuto, poi l’ascesa verso quelle pale rotanti, chiuso dentro un sacco come per ricordare al cielo, testimone sempiterno, quello che sarebbe dovuto essere, ma che qualche mano ha impedito.

Ho vissuto tutti quegli istanti in uno stato di lucidità disarmante, mi sono avvicinato di molto alla morte, l’ho sfiorata di un soffio, sono sopravvissuto, ma si può dire che ho fallito. Se non ci fossero stati Rudy e gli uomini del soccorso, se mi fossi trovato solo, non ne sarei uscito. Le mie sole forze non ce l’hanno fatta.

Un ago e la mente si spegne.

Non so quanto sia rimasto al buio: ricordo il volto di mia madre e di mio padre ed i loro occhi ricolmi di lacrime. Avrei voluto dirgli mille cose, chiedere perché mi era capitato, chiedere se erano arrabbiati, dove mi stavano portando, se me lo meritavo…ma tutto era come un sogno, non poteva essere vero, non poteva capitare a me, presto mi sarei svegliato e sarei andato verso le mie montagne per cavalcare la verticale verso quelle cime che sembrano bucare il cielo.

Poi sono arrivati i giorni della morfina, paradiso artificiale per mascherare la lenta distruzione del mio corpo.
La mia mente era sconquassata dallo stesso ricorrente incubo. Ho rivissuto la mia caduta centinaia di volte, per centinaia di volte ho risentito le mie ossa spaccarsi, la mia bocca emettere suoni che non possono essere umani, per centinaia di volte ho pensato alla morte e per centinaia di volte mi sono chiesto se erano meglio quel letto e quegli aghi o il buio eterno.

Poi lentamente ho cominciato a capire il prezzo che avevo dovuto pagare per essere ancora su questa terra, volti anonimi mi ripetevano che era un miracolo, che dovevo dire grazie, che non dovevo lamentarmi, che dovevo essere felice.

Ma come si fa ad essere felice in un reparto di terapia intensiva?

Non potevo formulare pensieri, ricordo a malapena chi mi è venuto a trovare, ed alcuni non li ricordo per niente, la morfina rendeva tutto così indistinto.

Tutto era sfumato, giorno e notte si sono succeduti quasi senza che me ne accorgessi, probabilmente la realtà è stata molto diversa, ma di quei momenti porto con me solo vaghe sensazioni.

Il mondo esterno non esisteva in quei giorni, tutto si svolgeva all’interno di me, nella mia mente. Quando non avevo incubi, avevo paura, paura degli aghi, paura che la gente mi vedesse, che vedesse il terrore nei miei occhi, io che mi ero sempre vantato di essere forte tremavo al sol pensiero di essere sfiorato. Ma non era terrore per quello che era successo, era terrore per quello che stava succedendo, l’essere ridotto in un letto potendo muovere un solo braccio è una realtà peggiore di qualsiasi incubo.

All’improvviso il ritorno alla realtà. Devastante, traumatico, cinico, bastardo.

L’effetto cullante della morfina era finito. Mi svegliavo da un sogno per atterrare in una stanza bianca e asettica, completamente solo, senza poter leggere o guardare la televisione c’era solo quel maledetto muro bianco che mi fissava, minuto dopo minuto e quel dannato orologio che scandiva ogni minuto con un sonoro TAC. Ho odiato il tempo.

Infermieri andavano e venivano, chi per farmi pisciare, chi per farmi un’iniezione, chi per dispensare qualche parola di conforto e in tutto questo io, immobile, incazzato, triste.

Alternavo momenti di sonno a momenti di veglia. Non facevano differenza il giorno e la notte, erano la febbre e i mal di testa a scandire le mie giornate.

Desideravo con tutto il mio cuore andare via, volevo un’ alternativa, mi sembrava di impazzire in quel posto. Avevo troppo tempo per pensare, per riflettere su ciò che sarebbe stato, per guardare il mio corpo gonfio e pesto. Il terrore di poter perdere la persona che amo cominciava a farsi vivo, la paura di non tornare mai più come prima mi divorava dentro.

Per tutto quel tempo mi sono rifiutato di guardarmi in uno specchio, non ero pronto, sapevo dentro di me che non avrei retto il colpo. Preferivo ricordare com’ero.

Durante la notte, complice la penombra, proiettavo su quel dannato muro bianco i miei film mentali, le mie fantasie. Era l’unico modo per evadere da quella tristissima realtà.

In quel letto, per la prima volta dopo tantissimi anni, ho versato lacrime amare.

È stata solo una notte ma ne ho approfittato per piangere per tutte quelle volte in cui non l’avevo fatto mai, ma stranamente non mi sentii libero, solo immensamente più triste.

Ho pensato molto alla mia vita, gli ultimi cinque anni li ho passati tra allenamenti, week-end a scalare e week-end a sciare, molto spesso da solo, felice di esserlo, cercando sempre di spostare un po’ più in la il mio limite fisico e mentale.

Quando ho capito che non ero un talento puro, cristallino, di quelli che sfondano sulle riviste, che non avrei mai raggiunto chi cercavo di emulare, ho cercato di interiorizzare la montagna, di renderla uno stile di vita, e prima che me ne potessi accorgere non ne potevo più fare a meno. Avevo bisogno della scarica al cervello che precede il volo, della fatica, dei muscoli distrutti, dei passaggi al limite (MIO), del dolore ai polpastrelli a fine giornata, dei paesaggi…….

Il rischio mi attirava e mi attira, è vero è il rischio che corrono migliaia di scalatori, ho percorso vie che avevano fatto centinaia di persone prima di me, ma in quegli istanti erano le MIE vie, era una sfida con me stesso, una prova per il mio fisico e la mia mente, il confronto con gli altri è sempre relativo, in primis veniva e viene il confronto con me stesso e i miei limiti.

E poi di colpo mi ritrovavo con 15kg in meno in 10 giorni, un colpo durissimo per uno come me che, stupidamente nel 2007, crede ancora che un fisico forte sia fondamentale per andare avanti, un coglione che ha sacrificato ore e ore in un sottotetto appeso a un trave, palestra e pesi, non per apparire ma per essere, per sentirmi vivo e la cosa bella è che dentro brucia la voglia di tornare più di prima.

Mi trasferirono a Lanzo, finalmente me ne andavo da quella maledetta stanza che avevo imparato ad odiare, per la prima volta ero “felice”. Presto sarebbe iniziata la fisioterapia, anche se non sapevo per quanto tempo sarei dovuto ancora stare a letto.

Il primo periodo è stato duro, costretto all’immobilità passavo le mie giornate leggendo libri e guardando la televisione, nei primi cercavo risposte, nella seconda semplice svago.

Ho letto moltissimo: Castaneda mi ha aiutato a riflette sulla vita e la morte, le esperienze di Pritchard e Twight mi hanno consolato, Boll mi ha fatto pensare a come avrei reagito se anche io avessi perso l’amore………….

Mi mancavano i miei genitori, i miei amici, la mia ragazza.

Mi mancava soprattutto ciò che ero, ma quello probabilmente non tornerà mai più.

Passavano i giorni e mentre il mio fisico lentamente migliorava il mio essere piombava in una disperazione catatonica.
Passai dal letto alla sedia a rotelle e mi misero un bel busto per proteggere le mie quattro vertebre rotte.
Le giornate diventarono una la fotocopia dell’altra: sveglia alle otto per la colazione, ore nove fisioterapia, ore tredici terapie e poi ancora fisioterapia, ore sedici addominali e esercizi da solo in camera, ore diciotto cena e poi bisognava aspettare il sonno, unica variazione il lunedì e il giovedì: sveglia alle sei e trenta per il prelievo del sangue.

In quei sessanta giorni tutti uguali, gli amici mi hanno salvato, la mia ragazza mi ha salvato, i miei genitori mi hanno salvato, la musica mi ha salvato.

Tutto il giorno con due cuffie nelle orecchie, tutta la mia rabbia fluiva in Ozzy, Ulver, Skinny Puppy e molti altri, ringrazio il metal.

Gli amici non mi hanno mai abbandonato, tutti i giorni qualcuno si presentava alla mia porta, anche solo per un sorriso, per una battuta, a volte, di sfroso, una birra.

La mia ragazza mi ha amato, ed io ho capito quando studiavo quei poeti che cantavano dell’amore, solo ora ho capito la forza dell’amore.

I miei genitori…….In fondo certe cose solo loro possono dartele.

Grazie.

Viene da chiedersi se ne sia valsa la pena, se il gioco vale la candela.

Non so rispondere a questa domanda, anche se una piccola parte dentro di me, nascosta e sola, dice si. Non sarei quello che sono senza quello che sono stato, ho imparato che è stupido vivere nel rimpianto di ciò che sarei potuto essere, ma che non sarò mai.

Le notti, a volte, penso, sogno pareti di granito. Ma è un sogno inconfessabile, perché al momento le mie ali sono rotte e sanguinanti, perché ciò che ero non mi è mai parso così lontano.

Non sempre una rinascita è un qualcosa di cui gioire.

Ripartire è dura, qualcosa dentro mi divora lentamente tutti i giorni, ma la devo affrontare a muso duro.
La fisioterapia, i muscoli deboli e flaccidi, il ricordo……tutto questo tende a logorare, ma dicono anche che ciò che non uccide fortifica.

Ora non so se la mia anima ed il mio corpo diventeranno più forti,se ho effettivamente imparato qualcosa da questa esperienza.

A volte una sorta di nichilismo tende a sopraffarmi, mi ritrovo a pensare al fatto che forse non c’è un piano per tutti noi, che è stato solo un semplice, fottuto caso, un capriccio degli eventi.

È molto più facile pensare che dietro vi sia un monito, un perché ed un per come.

Sta di fatto che in quei momenti si è soli, un enorme vuoto, incolmabile.

Ora sono fuori, non so cosa mi riserba in futuro, in fondo non mi interessa.

Respiro, guardo il lago, le stelle e la luna.

Non posso dire di essere felice, ma non si sta nemmeno male, in fondo.

Matteo. 25/8/2007 tre mesi dopo.

martedì 16 settembre 2008

Domenica 14/09/08 - Interregionale LPV M.te Losetta (3054)

Questa fine estate dispettosa(!) ci ha riservato la sgradita sorpresa di una copiosa nevicata proprio nel weekend dell’escursione LPV.

Lo «zoccolo duro» della Scuola di Escursionismo Monviso, aveva preparato con cura l’accoglienza degli amici delle altre sezioni senza lasciare nulla al caso: erano pronte le indicazione e la sistemazione del percorso, la logistica, e soprattutto ogni genere di «conforto» per i volenterosi che stavano per arrivare!

Purtroppo nel tardo pomeriggio di sabato, l’avamposto che era salito a Chianale per essere pronto in loco all’alba di domenica (n.b. ottimamente ospitato dalla preziosa Adriana che si è ancora una volta superata in capacità, disponibilità e cortesia!) si confrontava con uno spettacolo inatteso: copiosa e bellissima nevicata!

La serata in amicizia, davanti al caminetto con all’esterno l’atmosfera ovattata della nevicata, ha mitigato in parte il disappunto ed il dispiacere di non poter incontrare l’indomani i tanti amici che avevano dato la loro adesione (n.b. dovevano essere oltre 250!!).

Fino a tarda sera tutti si sono impegnati in racconti, consigli, massaggi(?!) per tenere alto il morale! N.B. Si sussurra che nel buio della notte, fuori nel bosco si siano sentiti i bisbiglii dei folletti che avevano invocato, per dispetto, la repentina nevicata… o forse era solo Ieio che russava!

Pur considerando la parziale schiarita che il meteo indicava per la tarda mattinata di domenica, le condizioni avverse avevano reso necessario l’annullamento della gita «ufficiale», mantenendo però l’appoggio per una salita informale per chi desiderasse cimentarsi in queste non-ideali condizioni.

Così domenica mattina una cinquantina di audaci, accompagnati dal nostro caro Bartolo infaticabile camminatore oltre che provetto coordinatore (…infatti è Lui che si era fatto carico di buona parte dei lavori organizzativi dei giorni scorsi!) procedevano alla salita verso la Losetta, che veniva raggiunta felicemente nonostante l’abbondante neve.

Intanto a Chianale i giovani(?) della scuola Monviso organizzavano il doveroso rinfresco, salutando con gioia il rado sole e facendo una passeggiata lungo il sentiero «Giancarlo Crotto» che in passato avevano provveduto a manutenere.

Nel tardo pomeriggio si ritorna alla pianura forse un pò delusi per il brutto tempo, ma pur sempre contenti per le belle ore passate insieme in mezzo a questa ormai «bianco-verde» montagna!

Un grazie di cuore va alla squisita Adriana, agli AE Carlo, Beppe, Piero e Luigi, e a tutto il gruppo della Scuola Monviso.

Ancora un bravo(!) particolare a Bartolo che si è rivelato in questi giorni preziosissimo e infaticabile… come al solito!

Arrivederci alla prossima… e speriamo nel tempo!

Ago

martedì 9 settembre 2008

DOMENICA 7 settembre - Becco Alto dell'Ischiator...

Il profumo della pasticceria fresca delle mega brioche, delle tortine alla marmellata, dei salatini giganti... ci  obbliga a colazione presso la Pasticceria Agnello a Demonte.

Sarà abbondante, un po’ per golosità, un pò perché la gita di oggi è impegnativa per dislivello...

alle otto parcheggiamo le auto sulla strada che percorre il vallone dell'Ischiator nei pressi della catena... l'aria è frizzante, il sole pallido cerca di forare le nuvole velate. Partenza.

la prima parte del percorso si snoda sulla carrareccia che porta al rifugio Migliorero... per non stancarci tanto e rompere il ritmo della camminata, decidiamo di percorrerla tutta evitando il sentiero che taglia i tornanti...

decisione azzeccata per il riscaldamento dei muscoli per affrontare il lungo percorso...

l'aria frizzante si fa più intensa, diminuisce anche la temperatura, tanto che il mio termometro al polso segna solo otto gradi... una breve pausa per indossare la maglia in micropile e via di nuovo lungo il percorso... la cascata più famosa della valle scende impetuosa creando una nuvola di goccioline che, con i raggi del sole si colora come l’arcobaleno...

di qui si intravede già in lontananza il Rifugio Migliorero, con le sue caratteristiche finestre azzurre come il cielo...

percorriamo l'intero pianoro che ci conduce nei pressi del lago inferiore dell'Ischiator... un bellissimo specchio dove si riflettono le montagne e il rifugio stesso.

Dieci minuti di pausa per la solita barretta, attraversiamo sulla passerella di pietre il lago e imbocchiamo il sentiero che facendo alcune "gucie" si inerpica al fondo del vallone, fino a spianare di nuovo nei presso del lago mediano dell'Ischiator...

Ieio, osservando la "falsa" punta del Becco alto sussulta dicendo:" ma dov'è sto ISCHIANNDOR???".

Sulla nostra destra si vede già lassù il colle... il sentiero risale e gucia dopo gucia arriviamo nei pressi di un piccolo ricovero, penso militare, adesso ad uso bagno, che in lontananza avevamo scambiato per un pietrone bianco... con un balzo siamo al colle...

Di là il vallone pietroso scende al Rifugio Zanotti e arriva dritto a Pietraporzio...

alcuni minuti per osservare i profili delle montagne che percorrono il cielo azzurro spazzato dal vento...

Ci incamminiamo per la punta, con la massima concentrazione vista la lieve traccia sul pendio detritico... le tracce rosse, rinfrescate da poco, ci indicano la via di salita tra le roccette ... a metà percorso si spiana e ci da la possibilità prendere fiato... notiamo che la punta con la sua moderna croce è li ad un tiro di schioppo...

passiamo vicino ad un altro ricovero situato 20m sotto la punta... tutto fa pensare che la nostra meta fosse un punto di osservazione verso i laghi di Rabuons nel versante francese...

arriviamo tutti in punta... la vista spazia a 360°... forse con un pò di emozione ci congratuliamo con baci e strette di mano tra tutti noi per la meta conquistata...

I laghi di Rabuons visti da lassù hanno colori meravigliosi, spaziano dal verde a blu intenso, il sole disegna sul pelo dell'acqua forme luccicanti in continuo movimento... alle nostre spalle Rocca la Meja (gita di due domeniche fa) sembra piccolina seppur imponente... poco più in là il Re di pietra maestoso si staglia sopra i profili delle altre vette...

in Francia si intravedono alcune punte bianchissime, segni di nevicate recenti, ma chissà quale il loro nome...

Foto di rito, le firme sul libro di vetta, un ultimo sguardo al panorama mozzafiato e riprendiamo il sentiero di discesa per pranzare al colletto visto il vento freddo a volte fastidioso...

Ci rilassiamo dopo il pranzetto frugale sull'erbetta del conoide del colle, deliziandoci anche del "cuciu" (vino rosso) portato da Pedro... l'aria salendo si riscalda e ci coccola tra le pennichelle e le chiacchiere... alle 15 scendiamo al rifugio, saremo lì alle 16 dove possiamo godere di una lunga sosta sul prato a bordo lago... il sole caldo ci accompagna nella siesta piacevole finché non si avvicina alle creste al calar della sera...

Ritorniamo alle macchine con buon passo... la nostra tappa rigenerante è di nuovo alla Pasticceria Agnello... nella nostra memoria olfattiva sono rimasti intatti i profumi di stamattina...

Divoriamo i deliziosi salatini, qualche bibita rinfrescante e aimè anche oggi la giornata volge al termine... 

Gli ultimi pensieri della sera già nel lettone, sono rivolti alla bellissima giornata, agli amici con cui ho condiviso le mie emozioni, al conto alla rovescia aspettando il prossimo nostro incontro... e al bellissimo messaggio di ringraziamento che ricevo sul telefonino... che conserverò gelosamente...

Beppe...

lunedì 1 settembre 2008

Domenica 31 agosto - MONTE FARAUT


Gitona...
Domenica scorsa ci siamo ritrovati per la consueta gita al Faraut… ormai un appuntamento annuale da quando abbiamo installato la nuova croce in ricordo dei nostri amici e compagni di gita che ci accompagnano dal cielo nelle escursioni domenicali...
Partiti da Sant’Anna di Bellino (1850m) alle 8.20 un po’ titubanti per il tempo... anche lui indeciso tra il pallido sole e le nuvole grigie…
Passiamo a Pian Ceiol (2012m), attraversiamo le “barricate”; gorgia scavata dall’inesorabile passaggio dell’acqua del torrente Balma… molto suggestiva in inverno, con la neve che ricopre l’insenatura profonda
Una breve sosta alle Grange Castel (2393m) per sgranocchiare la solita barretta, un sorso d’acqua e per riprendere fiato… proseguiamo al centro del vallone seguendo la lieve traccia di sentiero tra l’erba appena pascolata dalle bianchissime vacche “piemontesi” che, incuriosite al nostro passaggio, per un attimo alzano lo sguardo verso di noi…
In un attimo siamo ai piedi del canale finale di salita al colle a sinistra della vetta… una colata di detriti.. che ci impegna in concentrazione e fiato per tutta la salita…
L’aria frizzante che soffia sul colle ci consiglia di proseguire velocemente verso la punta… quando ad un tratto un concerto di campanelle ci coglie di sorpresa… un gregge di capre corre incontro a noi, forse affamate, forse desiderose di rivedere il “loro” pastore… Sono carinissime e molto curiore, pelo lungo, metà anteriore marrone scuro, la restante metà posteriore bianche… c’è anche il caprone attorniato dal suo Harem di femmine, ci guarda un po’ con aria diffidente, ma poi volta lo sguardo e prosegue per il suo cammino…
La mia curiosità mi spinge a fare una breve ricerca su internet e scopro che fanno parte della razza “Vallesana”
http://www.regione.piemonte.it/agri/ita/agriservice/ricerca/germoplasma/caprinva.htm
Finalmente arriviamo in vetta, breve controllo alla croce per vedere se è tutto a posto, sostituiamo il libro di vetta, ormai colmo di impressioni, pensieri, poesie e saluti che gli escursionisti hanno voluto lasciare a memoria del loro passaggio… il vecchio libro verrà custodito gelosamente nell’archivio della scuola di escursionismo…
Pranzetto accompagnato questa volta da ben due bottiglie una di Dolcetto,l’altra di Chardonnay; scquisito “nettare”, come lo chiama il nostro amico Pedro…
Alle due riprendiamo la via di discesa… non ancora soddisfatti per la salita, percorriamo la traccia che segue la cresta scendendo fino al colletto Balma (2663m)… qui i resti della casamatta, della postazione per mitragliatrici, del ricovero ancora in ottimo stato, ma soprattutto dell’enorme foro verticale ancora colmo di neve attrae la nostra attenzione… su un lato si intravedono tra la neve i gradini alla marinara che scendono nel buco… chissà quale utilità, una polveriera? Un pozzo per riserva acqua? Un passaggio segreto?
Scendiamo nella conca, una breve visita alle caserme, osservati da uno stambecco “appollaiato” nei pressi della croce del Pelvo Chiausis, riprendiamo il sentiero del ritorno che scende a Pian Traversagn… in breve tempo siamo sulla strada che dopo qualche chilometro ci riporta alle macchine…
Concludiamo la gita al rifugio Melezè davanti a un caffè, alla birra e a un sospirato tiramisù aimè finito…
Brevi impressioni sulla meravigliosa avventura di noi nove escursionisti, pensando già a quella di domenica prossima…al Becco alto dell’Ischiator…
un caro saluto e un caloroso invito a tutti Voi…
Beppe…