giovedì 29 luglio 2010

S.BERNOLFO - COLLE DEL BUE domenica 25 luglio 2010

Domenica sveglia all’alba per la gita sociale in Valle Stura.
Siamo in 40 (“er mejo” dell’Escursionismo, dell’Alpinismo Giovanile e degli Amici in genere!) a salire alle 7,50 appena sotto San Bernolfo(1700) in direzione sud verso il Rifugio del Laus.
Il cielo limpidissimo e la bassa temperatura (8 gradi!) ci spronano a procedere spediti, così in 30 minuti raggiungiamo il rifugio e subito dopo il lago di San Bernolfo (1913) che lasciamo alla nostra sinistra. A quota 1940 (ore 8,30) svoltiamo ancora a sinistra in direzione del Colle del Bue ed iniziamo una ripida salita, sempre mantenendoci all’ombra della Testa del Vallonet.
Alle 9,15 superiamo quota 2200 ed alle 9,30 ci imbattiamo in un traverso di neve a quota 2300 veramente ghiacciatissimo(!) tanto che per attraversarlo in sicurezza siamo costretti a ridiscendere leggermente. Arriva un po’ di sole… così Pedro e Bartolo si inteneriscono e concedono alla “ciurma” una pausa per la veloce colazione.
Il sentiero (P21) si fa sempre più ripido; la nostra nuova amica, Maria, continua a ringraziare sottovoce Ester per avergli proposto questa gita facile-facile… ed intanto evita di guardar di sotto e di imprecare, essendo Lei veramente molto educata!
A quota 2500 un gradito “passaggio aereo” ci fa lasciare alla nostra destra il colle della Guercia (2457) con vicina casermetta, per portarci in breve al bellissimo colle del Bue (2610).
Guardando dal basso, trattasi di una profonda spaccatura nella roccia, che oggi spicca ancor di più sullo sfondo del cielo azzurro! Il miglior premio per tanta fatica è lo spettacolare vallone che ora si apre di fronte a noi con più in basso il lago Gorgia.
Sono le 11, ci riposiamo al sole godendoci il panorama delle sottostanti vallate…
Potremmo chiamarla “la magia della montagna”, quella che crea un’istantanea condivisione di sentimenti tra tutti noi, pur così diversi, ora che ci troviamo davanti a tanta bellezza!
Elisabetta salta agile sulla ripida cresta, sparando foto a raffica incurante del pauroso ed incombente strapiombo(!): sembra essere di casa quassù, eppure viene da molto lontano…
Scesi al lago già denominato Gorgia (da ora in poi detto “Delle Sirene”) ci schiantiamo a terra, facciamo un rapido pediluvio e trovata la pietra “tagliere” diamo inizio alla danza di: salumi, salami, formaggi, frutta, torte, dolci, ecc. ecc.
Un numero imprecisato di bottiglie è già al fresco nel lago, i bicchieri si sprecano… (specialmente quelli di Geppe che scompaiono misteriosamente!) così i vari vini e liquori raggiungono tutta la banda!
Chiacchiere, risate, relax… da alcune istantanee sembra di essere al mare nel primo dopoguerra, con i maxi costumi neri che proteggono le nudità; nudità delle nostre Sirene che danno appunto il nuovo nome al lago (…o forse erano le sirene dell’ambulanze che ci porteranno alla “Neuro”?!)
Alcune foto di gita: «Sirene distese al sole», «Maicol che esce dal lago meglio della Venere di Botticelli stracarico di “nettare”», «Ieio assopito quasi palpato dalle Sirene», «Bellezze paparazzate sullo scoglio», «Maria+Giancarlo stravaccati a ridere su di un telone… panoramico», «Pedro che mangia le croste», «Geppe che cerca un bicchiere»…
Sono le 14 quando si riparte a malincuore per completare il giro ad anello.
In discesa seguiamo un fresco torrentello che, tra salti e cascate, ci porta al sentiero P19 e poi giù per prati fioriti e fitti boschi di faggi, fino a ritrovar la strada nei pressi della borgata Callieri (1455). Da qui i piloti risalgono a prendere le auto per poi fermarsi al Bar a Strepeis per la meritata bevuta finale! Grazie a tutti per l’allegra e bella… passeggiata!
Ago

- LE SIRENE -
Se le senti cantare non ci far caso
loro forse sono le Sirene del lago
o è il pediluvio che ti rallenta…
e a poco a poco perdi la coscienza.
Coscienza di un sole e posto così bello
che ti resterà impresso nel cervello
e ricorda che aprendo la bottiglia si fa il botto,
ma tocca ferro… se senti la sirena del 118!

venerdì 9 luglio 2010

Laghi di Ryoure - domenica 4 luglio 2010

Ore 6:00 di domenica mattina: ci ritroviamo, qualcuno un po’ assonnato, qualcuno fin troppo sveglio, pronti a partire. Dopo una doverosa tappa volta al recupero di altri temerari e al beneamato bar di Dronero raggiungiamo Chiappera per poi parcheggiare al “campo base” (wow….addirittura!!).

Un venticello gelido ci rincorre mentre ci avviamo sul sentiero; il verde e l’azzurro fanno da padroni assoluti mentre, salendo, ci lasciamo alle spalle la sagoma della Provenzale.

Saliamo con calma, fermandoci solo per pausetta colazione e dopo 2 ore raggiungiamo il colle Mourin...incredibile, la neve è poca!!

Incrociamo sul nostro cammino un gruppetto di prodi cavalieri accompagnati da un esserino grigio, peloso, oppresso dai bagagli e con le orecchie lunghe…no, non è un uomo è solo l’asino Mosè.

E poi via con la sfilata dei laghi. Il primo, in cui si specchiano le montagne chiazzate di neve, seguito dal secondo e, dopo una breve pietraia, dal terzo. Per non farsi mancare niente, qui e là ci sono sparsi altri laghettini, o pozzangherone se vogliamo essere meno poetici, frutto dello scioglimento della neve.

Avvistiamo, parecchio più in alto, qualche camoscio o stambecco che sia, insomma dei quadrupedi prettamente alpini, che scorazzano sulla neve con la naturalezza che abbiamo noi quando camminiamo per strada. Bello essere un “4x4”!

Raggiungiamo il colle Ciabrera, dove ci dedichiamo al pranzo, come sempre abbondante, condiviso e ben “annaffiato”.

Una pausa, qualcuno si dedicata alla siesta e poi di nuovo tutti in cammino fino ad incrociare il sentiero che arriva dal colle di Bellino e scendere fino alle macchine.

Una quantità incredibile di genzianelle punteggia la discesa, che spettacolo.

Arrivati alle macchine si millanta di aver fatto 1.000 mt di dislivello….sarà ma o siamo in gran forma o la giornata è stata così bella che la fatica non si è fatta sentire.

Plin plon: fine del momento serietà.

Bene, la cronaca dell’uscita, breve chiara e coincisa sta qui sopra, qui sotto invece c’è quel “di più” che proprio non si riesce a trattenere.

Ed è un di più fatto d’allegria, di occhi assonnati quando ci si presenta all’appuntamento mattutino ancora intorpiditi dal sonno ma con il sorriso che è proprio lì, acciambellato e arruffato, pronto ad uscire.

E’ un di più fatto di un viaggio in macchina e canzoni canticchiate a mezza voce, arrotolati sui sedili mentre il sole inizia a scaldare. E’ l’incanto delle cascate che sembrano darci il buongiorno con quel loro canto scrosciante.

Sono gli scherzi, le battute, le punzecchiature bonarie mentre gli scarponi vengono allacciati e la crema solare spalmata in stile “colori di guerra della tribù dei piedi candidi” fin quando qualche anima pia non ti rincorre per avvisarti delle tracce bianche che ti porti in giro.

E’ un di più fatto di un chiacchiericcio che non si spegne neanche nelle salite più ripide, sono strofe di canzoni intonate a più voci, sono borracce passate di mano in mano, cioccolato che si scioglie sulle dita. E’ un saltellio tra una pietra e un’altra e uno sguardo indietro per vedere se c’è qualcuno in difficoltà, è una serie di mani tese per sorreggere da uno scivolone.

E’ un di più fatto di una roccia cercata con cura, una tavola improvvisata intorno alla quale riusciamo a stare tutti in uno spingi spingi generale per non lasciare fuori nessuno perché a pranzo si sta tutti insieme e si continua a ridacchiare per qualsiasi sbuffo o frase o parola e l’ironia la fa da padrona (beato chi sa ridere di sé stesso perché non finirà mai di divertirsi!).

Il di più è fatto di discorsi impegnati, di impressioni di vita, di argomenti che iniziano in modo pacato per poi infiammare gli animi e ti ritrovi a camminare sempre più lentamente perché bisogna spiegare, bisogna capire, bisogna comprendere…e stemperare tutto con una foto scema.

E’ la consapevolezza che quello che unisce è una passione comune; siamo tutti qui per quello, ma sarebbe da stupidi non approfittare di questo amore per la montagna che ci accomuna per scoprire chi abbiamo accanto.

Il di più è il “bagno” nel ruscellino gelido, il rabbrividire perché per gelido s’intende proprio gelido ma la voglia di starsene con i piedi a mollo è più grande e sembriamo una serie di anatrelle rabbrividenti e dedite alla pulizia.

E, ciliegina sulla torta, è lo storcere il naso all’idea di salutarsi semplicemente così, con un arrivederci e grazie, perché è un peccato abbandonare tutta quest’armonia. E allora si finisce di nuovo intorno a un tavolo, a pituccare uno dal piatto dell’altro una fetta di pizza, una forchettata di polipo, due tagliolini, una cucchiaiata di dolce. I volti arrossati dal sole, il mal di stomaco a forza di ridere, la stanchezza che inizia a farsi sentire.

Lorenza…