Sul Faraut avevo fatto la mia prima gita “lunga”, su un 3000, durante i campi scuola a Sant’Anna di Bellino.
Mi sa che saranno passati più di … 20 anni…
Ci troviamo a Saluzzo alle 6 di mattina ed alle 7.30 ci incontriamo ad Acceglio con chi ha dormito all’Unerzio.
Quattro chiacchiere, pausa caffè e si riparte.
Dopo un lungo tratto di strada sterrata si comincia a camminare alle 8.50.
C’è la nebbia, in certi momenti così fitta e umida da imperlare con graziose goccioline capelli, occhi, guancie, barbe.
La strada, che percorriamo a piedi, ci conduce al rifugio Carmagnola, dove incontriamo alcune persone che vi hanno pernottato.
Di qui, comincia il sentiero che conduce alla cima e che costeggia la cresta con lo strapiombo verso la valle Varaita. In salita, a causa della nebbia, lo strapiombo è quasi invisibile e, solo al ritorno, si ha una percezione di quelle che paiono quasi falesie a picco sul mare di un paese del nord.
Raggiungiamo la cima poco prima di mezzo giorno: il cielo pare squarciarsi, in qualche momento. Dopo le foto di rito e la firma sul libro di vetta, ci si dedica al momento conviviale del pranzo: chiacchiere, formaggi, salami, vini, dolci …!
C’è anche chi parla di Africa con tale passione che non si può fare altro che diagnosticare: mal d’Africa!
Si ricomincia a camminare per la discesa e, quando si è quasi arrivati alle auto, il cielo è ormai perfettamente sereno e, in lontananza, si delinea il profilo morbido del Faraut: “Accidenti! Ma siamo andati fino là?”.
Paola
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